Bruciare sterpaglie, stoppie e ramaglie è una pratica molto diffusa in agricoltura. Si tratta infatti di un metodo molto utilizzato per eliminare direttamente in campo gli scarti vegetali derivanti da potature e da altre attività agricole.

Un tempo infatti era normale realizzare cumuli di ramaglie e sterpaglie e appiccarvi fuoco. Purtroppo l’abbruciamento è ancora estremamente diffuso, nonostante vi siano validi motivi per non praticarlo.

bruciare sterpaglie

Infatti si tratta prima di tutto di una pratica illegale, oltre a non essere ecologica ed estremamente pericolosa, data la facilità con cui un fuoco mal controllato si può trasformare in incendio. Senza contare che quelli che consideriamo scarti possono diventare una preziosa risorsa.

Scopriamo punto per punto perché non bruciare le sterpaglie e i residui di potatura e soprattutto andiamo a vedere quali alternative abbiamo per gestire queste biomasse considerate di scarto in modo positivo.

Falò di rami: la legislazione

La legislazione in tema di falò di rami e sterpaglie è regolata dal Testo Unico Ambientale del 2006, modificato poi a più riprese. L’obiettivo della legge è preservare il patrimonio naturalistico da interventi dannosi e illegittimi dell’uomo, tra questi anche l’abbruciamento di sterpaglie.

Per comprendere se tale pratica sia legale o meno bisogna addentrarsi nella definizione di rifiuto, andando a capire come possano essere definiti i residui vegetali da potatura. Infatti se vengono definiti rifiuti devono essere smaltiti in discarica, mentre se non vengono definiti rifiuti, possono essere bruciati, sempre rispettando però determinati parametri.

Ramaglie e sterpaglie sono rifiuti?

I residui di potatura sono semplice ramaglia o vengono per legge considerati spazzatura?

Per rispondere alla domanda ci si può sempre rifare al Testo Unico Ambientale che definisce in modo preciso quando un residuo vegetale può non essere considerato rifiuto.

Il materiale agricolo e forestale (come paglia, sfalci o rami da potatura) non viene considerato pericoloso quando deriva da:

  • Buone pratiche colturali.
  • Manutenzione del verde pubblico.
  • Scarti che possono essere riutilizzati in agricoltura, silvicoltura o per la produzione di energia da biomassa.

Solo se rispetta questi parametri lo scarto non viene definito rifiuto e quindi può essere smaltito in maniera differente rispetto al conferimento in isola ecologica o altra forma prevista dall’amministrazione comunale.

Posso bruciare le sterpaglie?

Se i residui agricoli non sono rifiuti in alcuni casi possono essere bruciati. Anche questo tema è delineato in modo chiaro dal Testo Unico, che elenca i casi in cui è consentito bruciare i residui vegetali:

  • La quantità massima da bruciare per ettaro non deve superare i 3 metri steri al giorno. Vediamo poi cosa significa “metri steri”.
  • Il falò deve essere effettuato nel luogo di produzione dello scarto.
  • Non deve essere realizzato nei periodi di massimo rischio boschivo.

Soltanto se vengono rispettate queste tre condizioni l’abbruciamento di sterpaglie e rami di potatura è considerata normale pratica agricola.

Il testo Unico lascia spazio alle amministrazioni locali, che possono sospendere, vietare o differire la combustione di residui vegetali, in casi in cui sussistono condizioni climatiche o ambientali avverse (ad esempio lunghi periodi di siccità), oppure quando la pratica può rappresentare un rischio per la salute, facendo riferimento anche all’emissione di polveri sottili (ad esempio in periodi in cui l’aria risulta particolarmente inquinata).

Prima di procedere a bruciare legna è bene quindi informarsi se non vi sia un’ordinanza comunale, provinciale o regionale che vieti espressamente tale pratica.

Cosa vuol dire tre metri steri per ettaro

La legge determina la quantità di sterpaglie e rami che si possono bruciare indicando tre metri steri per ettaro.

I “metri steri” sono un’unità di misura che indica un metro cubo di legna tagliata a pezzi lunghi un metro, accatastata parallelamente. Possiamo di fatto parlare di tre metri cubi di catasta.

Un ettaro corrisponde a 10.000 metri quadri.

Il rischio di incendio

La pratica di abbruciamento delle ramaglie è strettamente legata ad un serio pericolo di incendio. Infatti una piccola distrazione o una folata di vento improvvisa possono trasformare un falò in un fuoco non controllato.

Le conseguenze di un piccolo falò di sterpi in campagna possono quindi essere pericolose a livello personale e per l’ambiente. Bisogna quindi pensarci bene prima di appiccare fuoco, valutando attentamente la situazione, perché si tratta di una responsabilità.

Questa responsabilità si applica anche a livello legale. Seppur non ci sia un riferimento normativo preciso che colleghi i falò di materiale di scarto al reato di incendio, la Cassazione si è espressa più volte a riguardo. In particolare ha sancito il reato di incendio, di cui all’art. 449 del codice penale, a causa del comportamento di chi aveva radunato sterpaglie e bruciato sviluppando un fuoco di vaste proporzioni e con alto rischio di diffondersi, rendendo difficili le operazioni di spegnimento (cfr. Cass. n. 38983/2017).

Inoltre il codice civile all’art. 844 punisce il proprietario di un fondo le cui immissioni di fumo nel fondo del vicino superino la normale tollerabilità, potendo anche avviare una causa civile di richiesta di risarcimento danni.

Bruciare ramaglie inquina

La pratica dell’abbruciamento del legno non è solo potenzialmente illegale e pericolosa, ma è anche una pratica che inquina. Il fuoco contribuisce in modo significativo ad aumentare i livelli di PM10 e altre sostanze inquinanti nell’aria. Non bisogna sottovalutare questo aspetto.

Un esempio, registrato dalla Regione Lombardia, è l’aumento di PM10 in occasione dei falò di Sant’Antonio. Il 17 gennaio 2011 due stazioni dell’ARPA dell’Agglomerato di Milano hanno registrato un aumento delle polveri sottili di 4-5 volte rispetto alla situazione precedente l’accensione dei falò, arrivando a 400 mg/mc (il limite giornaliero è 50 mg/mc). Si vedano i dati di Regione Lombardia per approfondire.

Per essere ancora più concreti ed incisivi la Regione riporta un pratico esempio: bruciare all’aperto una catasta di legna di medie dimensioni emette la stessa quantità di un comune di 1,000 abitanti che si riscalda a metano per ben 8 anni.

Oltre alle polveri sottili bruciare rami e sterpaglie rilascia nell’atmosfera altri elementi altamenti inquinanti, come il benzo(a)pirene. Si tratta di uno degli Idrocarburi Policicli Aromatici (IPA) che può interagire con altre sostanze cancerogene presenti nell’ambiente, potenziandone l’effetto. Oltre al BaP vengono sprigionati anche monossido di carbonio, diossine e benzene.

Chiediamoci quindi se vale la pena fare un tale danno all’aria che respiriamo, soltanto per pigrizia nel trovare alternative a questi smaltimenti.

Alternative per gestire ramaglie e biomasse

Ma allora quali sono le alternative ai falò per disfarsi dei residui di potatura e delle altre sterpaglie?

In natura non si butta nulla e ogni sostanza ritorna all’ambiente come utile risorsa. Anche nel nostro terreno possiamo applicare questo approccio e valorizzare quelli che consideriamo materiali di scarto. Vediamo come fare.

Utilizzare i rami per fascine e legna da ardere

fascina di rami

I rami derivanti dalla potatura possono essere utilizzati per realizzare delle fascine, come nella tradizione di un tempo. Sono una risorsa indispensabile per chi possiede una stufa a legna con forno, ben essiccate permettono di far salire velocemente la temperatura e cuocere al meglio pane e focacce.

È un’alternativa che annulla del tutto il pericolo di incendi, anche se non si evita la dispersione di sostanze nocive nell’aria che viene semplicemente rimandata nel tempo. Per lo meno l’inquinamento si associa a un uso concreto dell’energia, non fine a sé stesso per il semplice smaltimento della sostanza.

Sempre in ottica di valorizzare scarti ricordiamoci anche che la cenere si può utilizzare, è una sostanza preziosa perché contiene elementi utili per le piante.

Il biotrituratore

residui di potatura

Ogni scarto vegetale può essere trasformato tramite il compostaggio in sostanza organica ammendante, utile per rendere fertile il terreno coltivato. Il problema delle ramaglie è che impiegherebbero troppo tempo per essere compostate. Qui ci viene in aiuto un attrezzo specifico, ovvero il biotrituratore.

Si tratta di un macchinario che consente di sminuzzare i rami, anche di buona dimensione, in piccoli pezzi, in modo da favorirne la decomposizione.

Il biotrituratore risolve il problema dello smaltimento evitando rischio di incendio ed emissioni inquinanti. Ottimizza il tempo di smaltimento perché permette di processare in loco i materiali ed evita quindi di doverli trasportare. In poche parole è una soluzione ecologica ed economica.

Compostare i residui di potatura è un’ottima pratica agricola Infatti la sottrazione del materiale di risulta delle potature dal frutteto o dal campo può causare a lungo andare un impoverimento del terreno. Invece di dover comprare grandi quantità di altri concimi il metodo più razionale e naturale è quello di fare compost in proprio biotriturando ramaglie,  per poi riutilizzare il materiale di risulta nel frutteto e nell’orto.

Perché il macchinario sia efficiente è bene scegliere un modello di biotrituratore adeguato al diametro di rami che si pensa di processare. In genere i biotrituratori professionali sono con motore a scoppio, ma oggi ci sono anche biotrituratori elettrici di ottima potenza, ad esempio il modello GHE420 prodotto da STIHL processa rami fino a 50 mm di diametro. Vale la pena spendere qualcosa in più per la scelta di un attrezzo di qualità, che offra garanzie di durata. Basta pensare a quanto tempo ci fa risparmiare nello smaltimento questo attrezzo per capire che si tratta di un buon investimento.

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Articolo di Elena Birtelè e Matteo Cereda, testo realizzato con il contributo pubblicitario di STIHL.

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